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Una riflessione critica sulla retorica della Disabilità



Cambiare prospettiva, comportamenti e linguaggio non è un processo immediato: la metamorfosi richiede tempo, dedizione. Tuttavia, la narrativa sul tema della disabilità sembra non evolvere mai. Con la stagione turistica alle porte e l’obiettivo delle #Olimpiadi 2026, si torna a parlare di #accessibilità “non solo in quanto diritto sociale, ma come un’opportunità commerciale per le destinazioni e le imprese turistiche” – per citare le parole del gruppo di lavoro Trentino Holidays.


Agli occhi di chi affronta ostacoli ben più invalicabili di una rampa di scale, quest’ultima rappresenta una forma d’impegno accompagnata da (tante) parole e (pochi) fatti. Sì, perché nella stragrande maggioranza dei casi le dinamiche sociali sono impreparate ad accogliere i portatori di handicap. La progressiva riduzione della partecipazione alla vita pubblica del Paese e le difficoltà di far valere i propri diritti hanno un impatto ben più profondo delle tanto chiacchierate “barriere architettoniche”.


Eppure, sembra proprio che la retorica attuale non sia in grado di affrontare i temi della disabilità in maniera più complessa e variegata dei soli impedimenti fisici. Se è vero, infatti, che è importante garantire a tutti l’accesso a beni e servizi mediante sostegni diversi a seconda delle caratteristiche identitarie di ciascuno, non bisogna tralasciare le difficoltà “#invisibili” patite quotidianamente dai portatori di #handicap. Viene da chiedersi il motivo per cui – dopo anni di promesse sull’eliminazione di barriere architettoniche e ostacoli cittadini – la narrazione sulla disabilità sia sempre al punto di partenza.


Sembra proprio che l’argomento dell’urbanizzazione sia l’unico vessillo democratico da sbandierare pubblicamente, magari in vista del rinnovo del Consiglio Provinciale di Trento. Coincidenza o meno, è tempo di sviluppare soluzioni concrete, costanti e durature a favore dei cittadini interessati (e non solo). Secondo l’#OMS, il 15% della popolazione mondiale è infatti colpita da una forma di disabilità cronica o temporanea che necessita non soltanto di accortezze architettoniche, ma anche di ambienti di lavoro più sicuri, di servizi sanitari accessibili e di programmi di sostegno strutturati ad hoc.


In uno scenario di questo tipo, è il caso di abbandonare tanto le tendenze pietose, quanto la retorica dei “disabili eroi” per osservare la realtà dei fatti in maniera più oggettiva, critica e consapevole. Ascoltare la voce dei diretti interessati significa “guarire il mondo” in maniera schietta, senza filtri. L’obiettivo? Creare un punto di congiunzione tra le due rette parallele dei disabili e dei normotipici: apparentemente più vicine, ma nella realtà più lontane che mai.

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