La politica non è un canale televisivo d’intrattenimento.
Una riflessione sul ruolo della cultura, del rispetto e del futuro della nostra classe dirigente.

La nostra società procede a un ritmo frenetico e deciso; da un lato l’utilizzo massiccio dei social network ha ridotto i confini geografici, interpersonali e culturali, dall'altro ha favorito la nascita di personaggi – più o meno virtuosi – che fanno ridere, discutere e riflettere. Lo stesso concetto di viralità si è impossessato successivamente della musica, dello spettacolo, del cinema e della televisione. Espandendosi a macchia d’olio, ha fatto sì che chiunque fosse dotato di un briciolo di originalità e di buona dialettica potesse puntare su di sé le luci della ribalta. Il Monte Olimpo della popolarità, in ogni caso, dovrebbe ben guardarsi dalla mercificazione della sfera politica. Quest’ultima ha il dovere di essere il più possibile genuina, schietta e spontanea: chi non rispetta le sue regole, sarebbe pregato di tirarsene fuori.
Le elezioni trentine continuano a far discutere: al di là del tradizionale scambio di frecciatine, slogan e comparsate di piazza acchiappa-voti, rimane un sostrato di imbarazzante disagio quando si osserva con oggettività l’ossatura di una realtà ormai in decomposizione. Le parole – un tempo pronunciate con accuratezza e cognizione di causa – vengono rovesciate nel vasto mare della stampa online e offline senza alcuna moralità. Forse che i personaggi abbiano sostituito le persone? Non è dato saperlo, e probabilmente un’analisi di questo tipo non ha molto valore nel panorama a noi contemporaneo. Che si tratti di mera propaganda o di becera inciviltà non fa alcuna differenza. Il risultato lascia presagire la disgregazione di un universo politico che non ha più il suo linguaggio, non i suoi modi, non i suoi valori da trasmettere a una cittadinanza tristemente disillusa.
In ogni caso - da spettatore silenzioso e accorto quale sono - non posso fare a meno di chiedermi: sarà sempre così? Oppure il peggioramento graduale e fatiscente della nostra politica finirà per persuaderci che i nuovi volti del cabaret amministrativo siano l’unica soluzione possibile? Se al momento tali personaggi da tv-show detengono poco seguito, non significa di certo che il rischio sia definitivamente scampato nei tempi a venire. Se un domani dovessimo effettivamente avere a che fare con un comico elettorale, capace di suggestionare la cittadinanza, quale sarà il destino della nostra cerchia governativa? Sia chiaro: se un tale avvenimento distopico si avverasse, non si potrebbe per ovvie ragioni imputare la colpa al popolo: ormai disabituato e incapace di confrontarsi democraticamente con donne e uomini di prestigiosa caratura, esso non è altro che in balia degli sketch comicidi quanti hanno scambiato un luogo di confronto per un palco da talent show.
Ai posteri l’ardua sentenza! Nel frattempo, sarebbe bene continuare a sperare che la politica torni a essere un’occupazione illuminata – ovvero ispirata dal desiderio di cambiamento e di sviluppo collettivo – senza per questo risultare grottesca, caricaturale e tristemente imbarazzante. Non sarà una voce irrispettosa e incivile a cambiare le sorti del nostro tempo, almeno fino quando esisteranno cittadini veementi e istruiti, coesi e onesti.