L'indifferenza
Aggiornamento: 4 ago 2022

L’omicidio di Alika Ogorchukwu – 39 anni, nigeriano, padre di famiglia, venditore ambulante con disabilità motorie, la cui vita è stata stroncata a Civitanova Marche – ci restituisce l’immagine di una società vuota, brutale e deforme; un riflesso distorto che, nel migliore dei casi, è un invito all’autocritica e al silenzio collettivo.
L’elemento che atterrisce è l’inerzia di chi, Alika, avrebbe potuto difenderlo. Spettatori passivi di una morte brutale; i pochi presenti sono rimasti immobili. Cittadini normali, con un lavoro normale, in una giornata normale che passeggiavano per le vie del centro con in mano le buste della spesa o di qualche negozietto di abbigliamento. Cittadini che hanno commentato l’accaduto. L’hanno filmato con il telefonino. L’hanno guardato con interesse, ma a debita distanza, un po’ come si fa con i film d’animazione al cinema.
Il problema è tangibile, più urgente che mai. Perché la verità è che la violenza non è imputabile soltanto a chi la commette, ma anche a chi la giustifica rivolgendo lo sguardo dall’altra parte. Il male si nutre di indifferenza e di paura, di disinteresse e di pavidità . Mi chiedo: dov’è finita la passione, la condivisione, la compassione, la voglia di lasciare una traccia concreta nella società a noi contemporanea? Dov’è finita la nostra capacità di comprendere quali dinamiche umane avvengono sotto i nostri occhi? O ancora, dove si è smarrito il coraggio di attivarsi, di difendere i più deboli, di vestire i panni di un innocente, di far sentire la propria voce?
Il vero problema, forse, risiede proprio in questo. L’innocente Alika è «diverso»: diverso per i vestiti che indossa, per il colore della pelle, per la povertà di cui si fa portavoce, per la stampella sulla quale si appoggia per deambulare – trasformatasi in arma del delitto nelle mani di Ferlazzo. Una persona nera, invalida, non voluta. Diversa, quindi.
Ora, che il responsabile dell’omicidio sia punito in termini di legge è un punto su cui si è comunemente d’accordo. Ma non basta. Non è sufficiente lavare la coscienza sociale nel fiume della giustizia «formale» per essere cittadini modello. L’assassina di Alika è l’indifferenza collettiva.
Perché se il comportamento di un singolo individuo può avere mille giustificazioni, mille attenuanti, mille motivazioni – valide o errate che siano, non è questo il punto, – decine e decine di comportamenti individuali si trasformano in una tendenza collettiva, in un’azione giustificabile. Fin quanto non sentiremo bruciare sulla nostra pelle le ferite e le botte patite dagli altri, non c’è tribunale che possa lavare via la colpa dell’indifferenza.
Voglio chiudere questa riflessione con una dritta pratica, con uno spunto di riflessione il più possibile incisivo. Il medico viennese e padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, scrisse che la capacità di coltivare l’empatia – e sì, anche nei confronti di chi è diverso da noi – è una «diga psichica»: un lungo iter di maturazione che consente agli individui di attivarsi, di provare compassione, di riscoprire la bellezza della diversità . Soltanto così, un passo alla volta, sapremo opporci alla crudeltà di una società in cerca di valori.
Ma se continuiamo a vivere nell’indifferenza, se nessuno ci fa sentire imputati non meno colpevoli di chi ha stroncato la vita di un uomo innocente, quali possibilità abbiamo di combattere le pulsioni animali insite nella natura umana?
Con l’invito ad agire, prima che sia troppo tardi,