69 medaglie vinte alle #paralimpiadi.
Quanto cambia il peso di una medaglia quando a vincerla è un #Disabile?

Nel paese del Sol Levante, a #Tokyo, gli azzurri si sono distinti per la conquista di ben 69 medaglie alle paralimpiadi: 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi, concludendo la competizione tra le prime 10 nazioni al mondo.
Eppure il record di medaglie ottenute, le vittorie di #atleti in azzurro che hanno messo tutto il loro impegno per raggiungere risultati strabilianti, sembra passare in secondo piano, in modo silenzioso rispetto alle medaglie vinte alle olimpiadi tradizionali.
Parte tutto dalla trasmissione delle gare. Mentre per le #olimpiadi abbiamo avuto dirette 24 ore su 24 su Rai 2, per vedere le paralimpiadi abbiamo dovuto fare uno slalom tra Rai Play, Rai 2 e Rai Sport.
La mancata acquisizione dei diritti per la visione costante delle paralimpiadi, però, non è l’unica barriera che non abbiamo superato. Perché anche il clamore mediatico è stato ben più flebile rispetto a quello visto per le Olimpiadi tradizionali, dove i media per giorni hanno proposto e riproposto le gare e i momenti più significativi.
Per gli atleti paralimpici, invece, un trafiletto, un annuncio lieve al TG, veloce e senza grandi approfondimenti. Allora viene da chiedersi: quanto cambia il peso di una medaglia quando a vincerla è un disabile?
Siamo ancora così lontani dall’eliminazione delle barriere architettoniche, che purtroppo non sono solo quelle strutturali (seppur ancora presenti in modo incessante), ma anche quelle del cuore e della cultura.
In un paese che dovrebbe essere tra i più avanzati al mondo, vediamo ancora come le barriere culturali insite in molti, sottolineate anche dal comportamento e coinvolgimento dei media, non permettono di dare lo stesso peso alle medaglie conquistate dagli atleti paralimpici rispetto a quelle degli atleti normodotati.
Allora c’è da farsi una domanda: perché non abbiamo esultato in modo eguale per l’oro di Ambra Sabatini, di Bebe Vio, di Paolo Cecchetto, Luca Mazzone e Diego Colombari? E invece per la vittoria di Tamberi, di Jacobs, del quartetto della 4x100 eravamo pronti a organizzare una festa nazionale?
Perché ancora oggi viene fatta una differenza così netta tra olimpiadi e paralimpiadi? Quando le imprese di ogni atleta, come le sue medaglie, dovrebbero avere sempre lo stesso valore? I limiti a cui dovremmo far attenzione, allora, non sono quelli fisici ma quelli presenti nella nostra mente.
Ed è così che ci viene pensare come ci sia ancora una strada molto lunga da fare. Perché dovremmo partire da un’educazione emozionale che ci permetta di non parlare di inclusione, ma di percepire gli altri semplicemente per ciò che sono persone, atleti, professionisti, che non è certo la mancanza di un arto o della vista ecc…a caratterizzare, ma ciò che le caratterizza è e dovrebbe essere sempre il loro animo, il loro essere, i gesti e comportamenti.
Le paralimpiadi, dunque, dimostrano solo quanto ancora siamo indietro, quanto non si debba pensare solo ed esclusivamente alle barriere presenti purtroppo ancora in molti palazzi, città e perfino servizi pubblici, oltre che privati; ma si debba lavorare anche sulla cultura di un Italia che torna da Tokyo ricca di medaglie, che siano quelle degli atleti paralimpici o normodotati, ma ancora con una lezione da imparare: l’equiparazione culturale, di pensiero, di sensibilità indistinta.
Possiamo allora chiudere, finalmente direbbe qualcuno, quel cassetto pieno di ipocrisia, pregiudizi e tante promesse per un Olimpiade unica, fino al prossimo carrozzone mediatico, per gli altri.